Gli Amanti di Vico Sansevereino - Nicola Manzò Scrittore

Nicola Manzò
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Nicola Manzò – Gli amanti di Vico San Severino
Cecilia Lavopa | On 16, ago 2014
Editore TEA / Collana Narrativa
Genere Giallo
Anno 2014
326 pagine – rilegato con sovracopertina
Ma che bello questo romanzo appena scoperto, che bello!! Me lo sono bevuto. Un autore da tenersi stretto, Nicola Manzò. Ma andiamo per ordine.
Intanto, io adoro i romanzi che , oltre alla storia, mi fanno “vivere” una città, un luogo particolare. E dopo la Sicilia di Camilleri e della Torregrossa, la Toscana di Malvaldi, la Napoli di De Giovanni.
Questa è ancora Napoli, ma UN’ALTRA, ricca di altre sfaccettature. Scritta con un misto di italo-napoletano , gustosissimo, che avrei continuato a leggere all’infinito!
La storia. Un commissario del nord, Alfredo Renzi, con la sua giusta dose di rimpianti-tormento- malinconie( perciò è il mio tipo!) prende servizio a Napoli , e trova ad attenderlo, fresco fresco , un caso di tutto rispetto:una coppia ( amanti?) uccisa barbaramente nel letto, movente ignoto. Che diventa ancora più ignoto nel momento in cui si scopre che la ragazza era una persona integerrima, e l’uomo era suo fratello.
Renzi intuisce subito che questa è una messinscena creata ad hoc, per depistare o nascondere qualcos’altro di grosso, ma che cosa?
E qui viene il bello, l’originale trovata dell’autore. La storia si sviluppa su tre diversi piani temporali, che alla prima impressione spiazzano il lettore.
La prima parte si svolge addirittura nel 37 a.C.! E narra una vicenda intrigante: la guerra fra i soldati romani, che trasportavano i tributi per Giulio Cesare Ottaviano ed i Parti ( popolazione dell’antica Persia), che riescono con un astuto stratagemma ad affondare nel lago Averno le navi con il tesoro da consegnare.
Mi sembrava , leggendo questa affascinante storia, di essere tornata al tempo delle versioni latine , al Liceo.
Intanto, però,mi domandavo che cosa c’entrasse con i nostri presunti amanti di vico San Severino..
C’entrava, c’entrava, eccome.
Ma questo non basta. La storia passa nel 1943, tempo del nazismo. Persecuzioni ed arresti a tappeto, momenti di paura per tante persone innocenti. Uno di loro, nel ( vano) tentativo di salvare i suoi familiari dalla morte , promette ad un ufficiale nazista di rivelargli il luogo dove giace un tesoro, risalente a prima di Cristo. E qui si inizia a capire il nesso fra questi piani temporali diversi.
Sulla trama, mi fermo qua, per non togliere il gusto delle scoperte, che sono tante.
Il commissario Renzi dipanerà questa intricata matassa con onore, guadagnandosi rispetto ed amicizia da tutti. Qui viene il divertente della storia, che ha anche pagine drammatiche.
Perché il sottotitolo: i delitti del barbiere? Perché gran parte delle indagini si svolge…in una barberia!
Luogo sacro per rilassarsi, farsi coccolare il viso e conoscere pettegolezzi di ogni genere. Il commissario Renzi è aiutato dal barbiere Ettore, dal suo ..ragazzo di bottega settantenne Pierino, che conoscono tutti e sanno sempre a chi rivolgersi.
Ed a Napoli c’è solo l’imbarazzo della scelta. Perché, se noi abbiamo Internèt..loro hanno Internòs!
E- somma simpatia- hanno pure Gugòl ( equivalente del nostro Google), un ometto che riesce sempre – nessuno sa come- a procurarsi le giuste informazioni. E con una rete simile, come avrebbe potuto fallire, il nostro Renzi?
Intorno a tutto ciò , un contesto impareggiabile: Napoli, con la sua gente, i suoi angolini, il suo dialetto , i suoi modi di dire pittoreschi!
Che dire, per concludere? Io, a questo romanzo, assegnerei un dieci e lode.
Per l’originalità della trama, l’ottimo stile, la piacevolezza della storia. Si è capito che mi è piaciuto tanto?
Rosy

RECENSIONE LIBRI
Home » Gli amanti di vico San Severino, delitti fra i vicoli di Napoli
GLI AMANTI DI VICO SAN SEVERINO, DELITTI FRA I VICOLI DI NAPOLI
Inviato da EffeElle il lug 14, 2014 in Giallo | 0 commenti
Un romanzo entusiasmante, di una napoletanità totale, travolgente, intelligente. Alla Eduardo, leggera e mai greve, ricca di una maturità che viene da secoli di civiltà cittadina. Napoli è una capitale, Napoli è storia. Tanta storia, anche questa storia, che comincia nel 37 a.C. e finisce nel 2006, passando per il 1943. Romani, Parti, Ebrei, Tedeschi, oltre ai partenopei naturalmente e ad un commissario. Di cognome fa Renzi, ma non è fiorentino e tanto meno premier, è un funzionario di polizia, milanese.
Del resto, nel romanzo d’esordio di Nicola Manzò, Gli amanti di Vico San Severino (novità TEA, 326 pagine), parecchio non è affatto quello che sembra. Pierino, il ragazzo del barbiere, ha settant’anni. Enza la Ribelle è un uomo, (Vincenzo Mazzella, transgender). E Internos non è Internet, sebbene sia pur sempre una rete, dei vicoli, con tanto di motore di ricerca, Gùgol, il più veloce: è Tatillo ‘o scartellato, il gobbo, il tabaccaio. “Mò chiedo in giro e v’o faccio sapè”.
Il fatto è che Napoli è la città della contraddizione, del tutto e del contrario di tutto, assicura Manzò, quartiere Stella, a un tiro dalla casa di Totò, architetto mancato ma artista e autore di teatro. E nelle sue pagine questo contrasto ci sta per intero. La gente è comunicativa, cordiale, passa dal voi al lei come se niente fosse e racconta volentieri la storia minuta di Napoli ai forestieri. Però, mai fermarsi alle apparenze.
Il romanzo registra fedelmente questa dicotomia (ai napoletani piacciono le parole “alte”). C’è una falesia sulla costa di Minturno che non per niente è una parete scoscesa. Una grotta, sia pure in Aspromonte, che non è una caverna o non solo, quanto meno. Ci sono anche persone che si direbbero per bene ma non lo risultano affatto. Un dissidente del regime hitleriano che si rivela tutt’altro che anti e molto nazista. Perfino un gufo impagliato, Cirillo, che invece è un rapace vivo. Non manca un assassino perfetto, brutto, cattivo, di pessimo carattere, ma che non può essere il colpevole. Perchè questo è un giallo e di “cadaveri uccisi”, come dicono nei vicoli, ne ha quanti se ne vogliono. Napoli è sempre luci ed ombre, bianco e nero, una città piena di vita ma con una secolare cultura della morte.
Per tante cose e persone che non sono quello che sembrano essere, la signora Chiatto, invece, fa fede al suo cognome. È obesa ed è quella che per recuperare una gatta esploratrice ha scoperto il primo delitto. Duplice: due corpi squartati, riassume brutalmente il loquace portinaio. Una è la signorina di Domenico, l’infermiera che abita al secondo piano (palazzo senza ascensore, scalone da titani, affrontare i gradini è un’impresa, più che salire vanno scalati). Supina sul letto, brutalmente picchiata, il ventre squarciato dall’inguine allo sterno. Accanto a lei un uomo altrettanto nudo. Evirato. Sangue dappertutto.
E che ci vuole. Un delitto passionale. Lei era una brava ragazza, fidanzata a Pasquale Ferrara, portantino di una ditta privata di ambulanze. Forse si era stancata dei modi di quel malamente, si era innamorata di un altro e quella canaglia, allora… infatti è scomparso. Ma il movente passionale salta...
Mentre il commissario si inserisce sempre di più in questa città solare/crepuscolare, l’indagine procede,con la collaborazione volenterosa ma, allo stesso tempo, l’ostacolo involontario di tante nuove conoscenze. Su tutti il barbiere, Ettore Montesomma, interprete dal vernacolo all’italiano e autentica guida virgiliana del dott. Renzi in una Napoli tra Inferno e Paradiso. Di Pierino e Tatillo si è detto. Ci sono anche la bella Mirella Lauro, bravissima cronista del Mattino e la corale, straordinaria e colorata umanità dei Decumani, intorno al Commissariato San Lorenzo, nei Quartieri. È ‘o vero che hanno ucciso a due cadaveri?


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Sulla poltrona di un barbiere si possono scoprire molte cose...                                                                                      
Dalla accattivante penna di Nicola Manzò un commissario di Milano indaga a Napoli.
di MAURO CASTELLI
Un artista piacevolmente intrigante, iperattivo, dalla battuta pronta e dalla
chiacchiera ironica. Lui che si propone come un uomo dai cento mestieri: da ragazzo cantante, ma anche posteggiatore(suonatore di chitarra), nei ristoranti frequentati dai turisti stranieri.
«Avevo una bella voce, e gli americani erano generosi». Poi burattinaio, mascheraro e pubblicitario: «Strada facendo ho fondato la Selling Pubblicità, regolarmente iscritta nel registro delle imprese di Napoli». Ma
anche un autore di teatro che,non più giovanissimo, ha deciso di approdare alla narrativa di settore con un noir, da poco arrivato in libreria. Si tratta del primo volume di una nuova serie gialla, I delitti del barbiere, firmata da Nicola Manzò, all'anagrafe Nicola Manzo. «In effetti a regalarmi questo gratificante accento sulla o fu il Principe Ranieri di Monaco in quel di Parigi, in occasione di una mostra itinerante (alla quale partecipavo con alcune mie opere di scultura) sui 700 anni del suo Casato che, partita da Roma, aveva fatto tappa nella capitale francese prima di approdare a Montecarlo».
Già, perché questo poliedrico personaggio, sulla cui data di nascita - forse per una punta di civetteria - amabilmente glissa adducendo un vuoto di
memoria, si propone come un artista di prim'ordine specializzato in arte presepiale in stile settecentesco napoletano. Manzò, si diceva. Un napoletano verace, essendo nato nel popolare quartiere Stella a poche
centinaia di metri dalla casa di Totò, del quale Tea ha dato alle stampe Gli amanti di Vico San Severino (pagg. 318), un giallo colto e allo stesso tempo popolare, divertente quanto fuori dalle righe, sicuramente di piacevole lettura. Dove a tenere la scena è un indovinato commissario, Alfredo Renzi, che dalla nebbiosa Milano (anche se in realtà è nativo di Corbetta, un paesone dell'hinterland) si trova a indagare - ma è stato lui, per via di certe beghe amorose, a chiedere il trasferimento - a Napoli, una città dalle mille sorprese, certamente difficile («Ma esiste al mondo una città di Santi?»), alla quale ben presto si adatterà e anche si affezionerà.
E per quanto riguarda l'ambientazione? «Ho scelto Napoli - tiene a precisare Manzo, o Manzò che dir si voglia - perché la conosco a fondo e a fondo conosco i suoi abitanti in quanto sono parte di loro. Ho poi voluto abbinare alla filigrana romanzata del giallo una connotazione
locale storica e artistica, concedendomi forti colpi di spazzola per ripulirla dallo sporco che camorra, spazzatura, terra dei fuochi e tanta gente che non ha nulla di umano continua a gettarle addosso. D'altra parte Napoli è contraddittoria, teatrale, fatalista, chiassosa, dispettosa, litigiosa, allegra, misteriosa,magica, romantica. Ma soprattutto è una città umana. Detto questo tengo a precisare che i personaggi da me descritti non sono caricature o forzature per renderli simpatici, ma persone che realmente esistono e alle quali ho cambiato solo nomi e professioni». È il caso di Google, un gobbetto alto un metro e quaranta,professionista del borseggio sui pullman («Ho assistito a un suo furto di portafogli: avendolo però beccato sul fatto con uno sguardo, rimise il maltolto nella borsa della fortunata signora e scese tranquillamente dal mezzo pubblico.
Nel romanzo, comunque, gli ho fatto cambiare mestiere»); c'è Pierino, «il barbiere che da piccolo mi tagliava i capelli facendomi sedere su un cavallino di legno, millantando di volermi portare sull'Isola che
non c'è di Peter Pan»; c'è zia Mariucia, l'indovina («D'altra parte Napoli è piena di indovine»). E per quanto riguarda Renzi? «È certamente un tipo tosto, che non si fa prendere per i fondelli, in ogni caso disponibile
e dai tratti umani, un uomo che sa come andare dritto allo scopo». E a lui Manzò ha affidato l'onere del contraddittorio, di chi vede i napoletani con occhio diverso. «Vorrei infatti, attraverso i miei racconti, far conoscere e amare la città. In fondo questo commissario è il rovescio della medaglia, è lo yin che si contrappone allo yang. E, come si sa, è solo l'insieme che crea l'equilibrio». Tornando all'autore - che in gioventù aveva lasciato la facoltà di Architettura preso com'era dalla voglia di darsi da fare -
ricordiamo che è sposato con la scrittrice e regista Patrizia Palmieri (con due figli "grandi" al seguito). La quale Patrizia, per 17 anni, ha gestito un piccolo teatro da cento posti («Appunto per questo battezzato
Mezzoteatro»), sin quando vennero abolite le sovvenzioni e senza quelle proseguire risultava impossibile.
Teatro per il quale Nicola avrebbe scritto quattro lavori, ovviamente messi in scena da Patrizia: «Due in vernacolo, ‘A porta e Delitto al castello (commedia comica), un'altra commedia in musica ambientata nel ‘600, sempre in napoletano arcaico, La preta de lu Divino Ammore, e un thriller in italiano, Via
Caravaglios, già rappresentato in alcuni teatri underground di Napoli con un buon successo. E ora ci apprestiamo a realizzare la commedia in musica». Proposto il corollario, diamo ora voce a Gli amanti di Vico San Severino, sulla cui prima di copertina viene riportata l'immagine di una scultura dello stesso autore (La serenata sui tetti, «ma in questo caso non si tratta di un Pulcinella napoletano»). Un romanzo, come si è detto, che vede protagonista Alfredo Renzi (un cognome e una garanzia, di questi tempi), un brillante commissario che si trova a indagare in una città affascinante quanto ambigua, esuberante quanto fuori dalle righe. Una città in ogni caso pronta a offrire amicizia e disponibilità. Così non ci vorrà molto perché questo conglomerato di storia e di tradizioni faccia breccia su Renzi, conquistandolo nel profondo. Ciò premesso va annotato che a tenere banco nella trama troviamo i tre personaggi che risulteranno
protagonisti anche dei prossimi titoli: il secondo noir vedrà infatti il terzetto "parzialmente" in trasferta a Firenze, in quanto la storia si rifà alla Congiura dei Pazzi del 1478 contro i Medici, mentre il terzo dovrebbe
coinvolgere Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, l'esoterico quanto misterioso personaggio - inventore, anatomista, massone e accademico - che era nato nel 1710 in Puglia, aveva studiato a Roma ed era vissuto e morto all'ombra del Vesuvio. Tre personaggi che nel nostro caso si identificano in Ettore,il giovane barbiere che diventerà amico e aiutante del commissario nelle sue indagini; in Mirella,l'avvenente giornalista (nonché fidanzata di Ettore) che di agganci nel mondo dei media ne ha parecchi, e infine in Tatillo, il miglior amico di Ettore, detto Google per la sua capacità di recuperare qualsiasi informazione dalla "rete" dei vicoli di Napoli. Quindi una miniera ai fini delle indagini, a fronte di una trama
che si sviluppa - «Partendo da fatti realmente accaduti, anche se ovviamente rielaborati» - su tre diversi periodi temporali. Si parte infatti da Cuma, nel 37 a.C, dove troviamo la flotta romana comandata da Ezio
che viene distrutta dai Parti e affondata negli abissi del lago d'Averno, portando con sé l'immenso tesoro di Cesare. Si prosegue quindi con Napoli, e siamo nel 1943, dove - a prezzo della vita di moltissimi ebrei e
di numerosi soldati tedeschi - un ufficiale nazista riesce a recuperare dalle acque del lago il tesoro, ma sarà costretto a nasconderlo altrove e a non goderne sino alla morte. Infine approdiamo al presente - ovvero al 2005 - con il commissario Renzi alle prese con un duplice delitto: in vico San Severino sono stati infatti trovati i cadaveri di un uomo e di una donna. E se all'origine del duplice omicidio sembra esserci un movente passionale, un complicato intreccio svelerà invece che, ancora una volta, c'è il tesoro di Cesare a tenere banco. Quell'oro di Roma che, attraversando la storia, riemerge dalle viscere della magica terra di Cuma divenendo ancora una volta, per uomini senza scrupoli, oggetto di desiderio e causa di sventure.

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Ho appena terminato di leggere il Suo romanzo"Gli amanti di vico San Severino".
Mi è piaciuto e spero che sia il primo di una lunga serie.
Magari si potrebbe anche sceneggiare per la tv e trarne una serie tipo Montalbano,ecc.?
Corro troppo? Va bene, intanto spero che seguano altri romanzi della serie " i delitti del barbiere".
Anche perché i gialli preferisco leggerli  che vederli rappresentati sullo schermo.
Cordialmente.
Astrid D.
Roberto M.
Buonasera Manzò.
Sto leggendo il suo libro; in poche ore, 180 pagine.
Bello. Mi intriga la storia del delitto, mi fa conoscere anche um po’ la storia di Napoli e mi fanno sorridere alcuni suoi personaggi (i “ragazzi”Pierino e Murzillo: straordinari).
Leggo una media di 1 libro almeno a settimana (viaggio molto per lavoro, sono un poliziotto penitenziario) ma era un po’ che non mi divertivo così.
Dovevo dirglielo per farLe i miei complimenti.
E ancora devo scoprire come andrà a finire ...
Un caro saluto, genovese e sampdoriano…. ;-) Roberto M.

Sono un semplice ed umile attore toscano di Pistoia, ho finito in questo istante di leggere il suo romanzo: GLI AMANTI DI VICO SAN SEVERINO. Mi scuso x il disturbo, ma non potevo fare a meno di congratularmi con lei, una bella storia, tanti bei personaggi, una scrittura sublime, in una meravigliosa Napoli! Grazie di avermi fatto passare una bella domenica pomeriggio, insieme a lei ed alla sua stupenda città. Massimo B. ...
In bocca a lupo x il prossimo racconto, che aspetterò con ansia e voglia ed un saluto alla sua signora, che facendo teatro ha tutta la mia stima. Un abbraccio e grazie Massimo B.



Caro Manzò,
innanzitutto grazie per avermi risposto. Le allego i primi capitoli di quello che dovrebbe essere il mio libro "L'odore dei m."  Io faccio il dirigente al Comune di P. ma sono nato e ho vissuto a Piazza Cavour (anzi Càvour, l'unico accento che per spirito di contraddizione i napoletani anticipano) fino al 1984 (il terremoto non me lo sono scampato), e li' ci vive ancora mia madre. Mi ha colpito il suo libro perchè le ambientazioni, la Napoli greco-romana, San Gregorio Armeno, Vico Cinque Santi (io l'ho sempre scritto così), piazzetta Nilo, perfino il periodo (dicembre) coincidono con quanto lei ha scritto o con luoghi che mi legano alla mia città. Addirittura nel suo romanzo ci ha messo un professore del Genovesi, il liceo dove sono andato e la costiera puteolana; ho una cognata a Monte di Procida ed un fratello a Bacoli,dove voglio andare a vivere,  se non è destino questo... Sono un gran lettore di gialli: a parte i classici, tipo Camilleri, mi piacciono Malvaldi, Recami, De Giovanni, Vichi e la Bartlett. La prego di essere spietato nella sua critica, se avrà voglia e tempo di leggere quello che le allego.
Grazie comunque.
arnoldo b.
p.s. a proposito del mio cognome e visto che lei parla spesso di storia napoletana nel suo romanzo, le accenno le mie origini. Come lei saprà a Napoli ci sono molti tedeschi (svizzeri-tedeschi, noi siamo di San Gallo). Ai tempi del Regno delle Due Sicilie, i Borboni avevano messo una  grandre seteria a San leucio, vicino Caserta, nella quale chiamavano tecnici specializzati. Ovviamente i migliori erano quelli di San Gallo, dove si facevano già allora i merletti.

Giuseppe C.
Buonasera signor Manzò,
sono un 30enne napoletano che in un caldo giorno d'agosto, alla libreria interna di Capodichino si è lasciato casualmente incuriosire da uno sconosciuto titolo sul bancone, alla ricerca di qualcosa da leggere distrattamente durante le ferie.
La scelta è stata istintiva, non avevo ancora letto di lei o del suo libro.
Sebbene le mie ferie,ahimè, siano durate poco, il suo libro è durato ancora meno.
Basti pensare che una notte,tornato dai divertimenti greci, sono rimasto sveglio fino alle 5 per scoprire lo sviluppo della storia e così in 4 giorni ho scoperto la bontà di Ettore e la rivalsa dei napoletani sani, veri, non quelli che si spacciano come tali e ne massacrano il buon nome.
Nella mia modestia ho trovato il suo libro inaspettato, "fresco", interessante e coinvolgente.. nu babbà.
L'ho già consigliato alla mia compagna che l'ha finito, al gruppo di amiche di mia madre che legge tanto e a tutti gli amici con i quali sto condividendo questi giorni...e continuerò.
Non sono del mestiere (mi occupo di informatica) ma mentre leggevo non ho faticato ad immaginare una trasposizione cinematografica del racconto..ci pensi e se le posso essere utile da teatrante scolastico amatoriale a consulente spassionato mi tenga presente...glielo dico non per un interesse personale quanto per una immagine di napoli da lei ben dipinta, una novità in un piattume commerciale, una mia affezione al bel lavoro che merita di essere conosciuto grande pubblico.
Non sono uno sprovveduto, immagino bene lei abbia ricevuto, a giusta ragione, altri feedback entusiasti e critiche d'autore, ma ci tenevo ad essere parte del coro.
le auguro buona fortuna per i futuri,sicuri, successi.
G. C.
Interviste

Parlare è il nostro modo di comunicare più antico. Scrivere è il desiderio di lasciarlo nella memoria.
Intervista a Nicola Manzò di Veronica Fantini (28 Luglio 2014)

Il libro di Nicola Manzò è un invito a perdersi tra i vicoli di Napoli, ad esser guidati nella città partenopea da una serie di personaggi a metà tra realtà e finzione.
Parliamo del suo romanzo a partire da uno dei dettagli più importanti, ovvero la copertina: essa raffigura una sua opera d’arte intitolata La serenata. Anche gli amanti di vico San Severino si può considerare un inno d’amore a Napoli?
Sì. Il mio romanzo, pur conservando tutti i canoni della storia gialla con la sua trama intricata e di azione, possiamo considerarlo anche un inno d’amore a Napoli. Amo la mia città ed ho voluto far conoscere attraverso questa serie, quello che in essa c’è di bello: storia, arte, bellezze naturali ma anche e soprattutto umane.
La nota biografica contenuta all’interno della presentazione ci parla di uno scrittore che nel corso della sua vita si è dedicato a molte attività e lavori: sono queste esperienze che hanno dato vita alla passione per la scrittura o è quest’ultima che si serve di esse?
Entrambe le cose. La vita ci costruisce e se sappiamo imparare dalle esperienze che facciamo sapremo poi farne tesoro. Ciò che ho finora vissuto mi ha portato un bel giorno a decidere di scrivere. Ora è la mia passione per scrivere che si alimenta con il mio vissuto.
«Eh, commissa’, vi ci dovete abituare. Se non coloriamo i nostri racconti, anche quelli più tragici, non riusciamo a dicere niente.» Oralità e scrittura: due lati dell’antica propensione dell’essere umano a raccontare storie oppure una delle due supera in qualche modo l’altra?
Ritengo inscindibili ed equivalenti le due cose. Parlare è il nostro modo di comunicare più antico. Scrivere è il desiderio di lasciarlo nella memoria.
Partendo dalla citazione “…la verità è più semplice di come la immaginiamo, o siamo stati abituati a immaginarla attraverso tutto quello che ci propinano film, tv e romanzi gialli.” Come può spiegare la costruzione dell’intrigo del suo romanzo?
E’ vero, spesso la verità è più semplice, ma non sempre è così. Ci sono verità complesse ed estremamente drammatiche che a volte non vogliamo accettare rifugiandoci nella “negazione” psicologica delle stesse. Le accettiamo invece in un romanzo perché in fondo riteniamo, o vogliamo ritenere, che sia solo frutto della fantasia di un autore. Gli intrighi dei miei romanzi si basano su fatti storici realmente accaduti in varie epoche, sui quali elaboro la vicenda. E’ un po’ come quando realizzo una scenografia presepiale: nasce l’idea, creo la scena, l’ambientazione e poi realizzo i personaggi che dovranno vivere in essa. Nei miei romanzi attingo gli “attori” dalla strada, dalla vita reale e, con piccole trasformazioni li porto a vivere in essi. Scrivere è si il raccontare delle storie di fantasia, ma è anche vero che attraverso di esse trasmettiamo parte della nostra verità. A volte quella più intima e radicata. Scrivere è una catarsi dell’Anima.
Il protagonista, rivolgendosi ad un altro personaggio, afferma che egli “segue i tempi degli scrittori di gialli”: come si è documentato, dunque, per rendere la finzione del suo libro più verosimile alla realtà?
Credo che documentarsi sia una cosa fondamentale per uno scrittore. A meno che non sia uno scrittore di fiabe (ed anche in quel caso dovrà pur contestualizzare la sua storia). Una volta stabilita una trama ed in quali luoghi si muoveranno i personaggi, comincio a documentarmi in maniera abbastanza approfondita su ogni periodo che mi interessa, sugli usi e sui costumi di quel popolo o di quelle persone e sulla storia dei luoghi. A volte faccio lunghe ricerche nelle biblioteche e spesso giro per librerie e mercatini cercando quante più informazioni possano servirmi. A quel punto i personaggi, ai quali cerco di dare sempre un’identità normale, quella di persone qualunque senza “superpoteri” o intelligenze superiori, vengono inseriti nel contesto prescelto. Parafrasando un vecchio detto: “Per far credere nella fantasia bisogna incorniciarla in una verità credibile!”
Lei ha già annunciato che Gli amanti di vico San Severino sarà il primo romanzo di una serie. A che punto della redazione di questo libro ha stabilito che ne sarebbero seguiti altri?
Quando i personaggi della mia storia hanno cominciato a diventare miei amici di viaggio. Mi sono sentito parte del gruppo. Non ero più al mio vecchio scrittoio ma lì, nei vicoli assieme a loro. Ho bisogno di Renzi, di Ettore, di Pierino il barbiere, di Mirella, di zia Mariuccia come loro ne hanno di me.
Nella nota e nei ringraziamenti a conclusione del libro lei fa cenno alle fonti utilizzate per la stesura e caratterizza ulteriormente i personaggi. Spesso i lettori evitano la lettura delle parti di testo che esulano dalla narrazione vera e propria: giudica quest’abitudine un diritto o un difetto del lettore?
E’ un loro sacrosanto diritto, siamo in una nazione democratica ma, secondo me è anche un difetto perché leggere le note spesso aiuta il lettore ad entrare meglio in contatto con l’autore e con i suoi personaggi, a capire realmente dove termina la finzione e comincia la realtà di quanto hanno letto. Alcuni autori, altresì, dovrebbero essere meno ”lunghi” nella stesura delle loro note.



MILANO NERA
INTERVISTE
Faccia a faccia con Nicola Manzò
19 GIUGNO 2014 - ARTICOLO DI CRISTINA MARRA
Una nuova serie di romanzi e un nuovo commissario arrivano in libreria. Si tratta de “I delitti del barbiere” dello scrittore napoletano Nicola Manzò che con “Gli amanti di Vico San Severino” (TEA, pp.324, euro 13,00) esordisce col commissario Alfredo Renzi. Un bell’uomo “appena sovrappeso, un metro e settanta di altezza, brizzolato, lineamenti decisi e molto marcati, occhi neri e penetranti, ipnotici, Renzi è il commissario della stazione del quartiere San Lorenzo. Appena trasferito dal Nord, il primo posto dove si
reca per “chiedere informazioni lecite” ed entrare nel modo di pensare napoletano, è il salone del barbiere Ettore Montesomma. Di lì a breve la notizia di un duplice omicidio invade le stradine come quella di San Gregorio Armeno “colma di negozi, bottegucce di due metri quadrati e veri e propri buchi nei quali vecchi e nuovi artigiani vendono figurine da presepe, che i napoletani chiamano pastori”. A Napoli, città “della contraddizione, città del tutto e del contrario del tutto” sono i giorni che precedono il Natale e sembra “impossibile che in quel clima di festa, di gioia e di serena spensieratezza possa accadere qualcosa di tragico” eppure due amanti sono barbaramente uccisi. Comincia così la prima indagine di un commissario rigoroso e intransigente che si lascerà sedurre dal fascino misterioso e intrigante di Napoli, il suo golfo e i suoi odori stanno diventando parte di lui”.
Nord e Sud si incontrano a Napoli. Perché hai scelto un commissario lombardo?
Perché  dovremmo capire che siamo una Nazione, siamo un popolo dove mentalità così lontane e diverse , per origine, storia, cultura, non devono essere interpretate e vissute come differenze  ma come valore aggiunto,  una forza enorme, un potenziale  invidiabile  che ci rende unici al mondo  per ciò che riusciamo a fare.   Più del 70% del patrimonio artistico mondiale è Italiano, non milanese o napoletano.
Esordisci con una Napoli natalizia, come mai?
A Natale Napoli, in particolare i Decumani, si vestono a festa. La città vive la Natività e diventa essa stessa presepe.  Ed in questo calore umano che mi è piaciuto far arrivare Renzi. Un uomo, solo, con un vissuto familiare deludente e lontano da casa, dalle sua abitudini. Quale momento migliore per immergerlo in questa sua nuova realtà.
I flashback che ruolo hanno nella narrazione?
Gli spazi temporali  sono  di vitale importanza nelle mie storie. Innanzitutto perché creano l’antefatto ed il presupposto su cui si svolge il romanzo e sono tutti basati su fatti storici realmente avvenuti e poi perché mi consentono di parlare della storia della mia città del suo vissuto così intenso, eroico e romantico, delle sue bellezze artistiche e naturali. Perché vedi, con questa serie dei Delitti del Barbiere, io voglio approfittare del racconto anche par far conoscere  a tantissime persone, le faccebelle e meravigliose di questa città e ripulirla più che posso dagli stereotipi di città di camorra, mondezza, violenza. Esiste al mondo una città di Santi?  Raffaele Viviani, poeta e commediografo, vissuto da scugnizzo nei vicoli di Napoli, diceva  che “…i delinquenti non hanno nazionalità”.
Non solo Napoli ma anche altre città rientrano nelle indagini?
Si, mi piace spaziare in varie città d’Italia. Un po’ per i motivi che ti ho espresso prima sul mio nazionalismo (io adoro ogni angolo della mia Terra)  ed anche perché, parafrasando Viviani  potrei dire che in Italia esiste un’unica grande nazione: quella fatta dagli uomini giusti.
Il barbiere può considerarsi un detective dilettante?
Ettore il barbiere  è il trait d’union  tra Renzi ed i vicoli. E’ un appassionato di gialli e gli piace, da buon napoletano  e da barbiere di razza, curiosare in vicende poco chiare, figuriamoci quando gli si presenta un delitto. Poi arriva Mirella ed allora lui vorrebbe diventare un Maigret o un Poirot per far piacere alla sua donna.

Intervista a Nicola Manzò
* Finora i lettori di noir hanno visto Napoli attraverso gli occhi di Maurizio De Giovanni. La città negli anni Trenta e quella di oggi, con il commissariato di Pizzofalcone. La sua Napoli è diversa, più umana e popolare.
R.Quella di Maurizio De Giovanni, di Di Giacomo o di Totò,è la nostra Napoli, ma vista e percepita con occhi diversi. Napoli è come un diamante ogni sua faccia emette un colore, riflette un’immagine. La mia è quelladei decumani e dei suoi cardini. E’ la Napoli dei Greci e dei Romani. E’ quella di Virgilio, di Masaniello, di Raimondo di Sangro e di Carlo III di Borbone. E’ la Napoli del popolo, della gente qualunque, dei pescatori, dei panettieri, di tutti coloro che hanno imparato, in secoli di dominazioni, l’arte di arrangiarsi e sostenersi reciprocamente.
* Lei è un bravissimo e apprezzato scultore: che differenza trova nello “scolpire” figure e personaggi letterari?
R. Nessuna. Il modellare una figura da inserire in una scena o il creare un personaggio da inserire in un romanzo,generano in me la stessa emozione. Io dialogo con loro e vivo le loro sensazioni, brutte o belle che siano.
* Renzi è milanese, di famiglia contadina, ruvido ma di gran cuore. Il suo è un carattere potenzialmente napoletano…
R. Renzi è stato, e lo è ancora per me, un personaggio difficile da “modellare” perché appartiene ad un mondo purtroppo ancora tanto distante dal nostro: Napoli e Milano le due facce della stessa Italia. Scrivere e descrivereun napoletano ovviamente mi riesce più facile come il ripulirlo dagli stereotipi che frequentemente gli vengono affibbiati e tirarne fuori la vera natura senza sovrastrutture. Per Renzi è molto più complesso. Devo calarmi ogni volta in una cultura ed una natura che non conosco bene e togliere anche a lui quegli stereotipi che vengono frequentemente da noi attribuiti ai Milanesi. Per mia fortuna ho alcuni amici meneghini doc ed ho così, un po’ imparato a conoscerli. Renzifonde in se, a mio avviso, il meglio di questi due modi di essere.
* Nei suoi due romanzi c’è sempre un retroterra storico, ricostruito minuziosamente, una vicenda parallela a quella principale e attuale. La storia è un’altra delle sue passioni, che mette anche nelle sue ricostruzioni scultoree. Da dove le viene questo amore per il passato?
R. Lei ha colto nel segno. La storia è un’altra delle mie passioni. Mi aiuta a conoscere ed a capire ed a volte a dare risposte a molti perché. Amo quella della mia Città perchè voglio conoscere sempre di più il suo passato, per capirla ed amarla per quello che è ora ed è stata un tempo. Ed è con questo spirito che ne inserisco un po’ in ogni romanzo. Moltissime persone e tra questi anche tanti napoletani, hanno di Napoli delle false conoscenze o la vedono rappresentata come città di camorra, di spazzatura non raccolta,di terra dei fuochi. Ma queste sono solo piaghe infette che Napoli, quella vera, subisce, non genera.
La mia città e la mia gente hanno una storia millenaria fatta di creativitàe genialità, di tenacia e di forza, di arte e di cultura.
* Al nord, Napoli è vista come una città in cui è pericoloso anche soltanto camminare per strada. Lei nei suoi libri cerca di sfatare questo luogo comune, però la cronaca spesso lo rafforza.
R. Diceva Raffaele Viviani che i delinquenti non hanno nazionalità. Io e i veri napoletani, fortunatamente, costituiamo l’enorme maggioranza di questa città e ci viviamo bene. E’ vero accadono scippi e rapine, ma mi dice lei dove non accadono? Esiste al mondo una città di Santi? Napoli è diventata la porta bandiera di un qualcosa che, invece, è diffuso dappertutto. Non saranno quattro delinquenti ignoranti e indegni di essere chiamati napoletani, a privarci di questi luoghi, a non consentirci di vivere questo posto meraviglioso ed unico al mondo, e ciò, mi auguro che valga per tutti.
* Una delle cose più divertenti delle sue storie è la rete “internos” con Tatillo-Gùgol e i suoi amici informatori. A Napoli esiste davvero qualcosa di simile?
R. Napoli,è una città Borbonica dove gli intrighi di corte e gli inciuci galleggiano ancora, latenti, nell’aria dei corridoi della Reggia ma anche fuori,tra i vicoli.Napoli è insorta ai Tedeschi con un passaparola. Diciamo che un qualcosa di simile esiste davvero perché fa parte della natura del napoletano. Una cosa detta, che sia bella o brutta gira per i vicoli, rimbalza per gli stretti cardini, salta di balcone in finestra e nel giro di un nano secondo giunge alle orecchie di tutto il rione.E allora, poteva mai mancare nei miei romanzi, una rete popolare di informazione dei vicoli? Ed ecco comparire il gobbo Tatillo detto Gùgol. Il personaggio è, si, frutto della mia fantasia, ma la figura che ho preso a modello è realmente esistente come quasi tutti i personaggi delle mie storie.
* Ettore il barbiere è una figura centrale dei romanzi, con quasi lo stesso peso di Renzi, che aiuta nelle indagini per far bella figura con Mirella. Le barberie di Napoli sono ancora “il centro del mondo”?
R. Ettore è un appassionato di gialli e quando incontra Renzi per la prima volta capisce che il commissario sarà una figura importante nella sua vita così come la sua Mirella, giornalista di nera e donna con un grande coraggio o forse incoscienza. Si, ci tiene a farsi bello con la sua ragazza ma anche ad aiutare Renzi nella soluzione dei suoi casi. Chissà, se non avesse fatto il barbiere forse avrebbe potuto essere un investigatore, un poliziotto.
Non solo le barberie di Napoli, ma credo quelle di tutto il mondo, sono punti importanti di riferimento per ascoltare, carpire, riferire.
Nei secoli passati esistevano le pettinatrici che a Napoli venivano chiamate “capere” cioè coloro che lavoravano sul capo delle donne, quindi sui loro capelli. Tra queste due donne, una seduta e l’altra che pettinava, si stabiliva una forma di complicità e quasi sempre la prima, rilassata dalla lunga e sapiente spazzolata, si apriva a quest’ultima e raccontava fatti anche molto intimi che, immancabilmente, finivano nei vicoli ancor prima che la capera fosse uscita dal palazzo.
I barbieri, versione maschile ma “caperi” come le donne, sono quindi diventati gli psicologi dei poveri, i loro confessori. Coloro che ascoltano sfoghi e pettegolezzidando ogni tanto qualche suggerimento, se richiesto, o annuendo silenziosamente a drammi e a storie comiche che ogni giorno passano sulle loro poltrone tra unoshampoo ed una barba. Quale migliore fonte di informazione per Renzi?
* Cosa è rimasto della Napoli di Viviani, Pasquariello, Scarpetta, Elvira Donnarumma, Gambardella, Gill, E.A. Mario… tanto per fare qualche nome?
R. Tutto. Solo che è stato sepolto, come Pompei, sotto il fango che papponi e delinquenti le hanno rovesciato addosso.
* Quali sono gli scrittori di gialli e noir italiani che apprezza di più? E tra gli stranieri? Se non legge il genere, che letteratura predilige?
R. Da ragazzo ho letto Agatha Christie e Rex Stout senza farmi mancare Chandler, Ed MacBain e tanti altri. Mi piace molto il legal thriller di Grisham e la Kay Scarpetta della Cornwell, il paraplegico investigatore di Deaver, ma non leggo solo questi generi. Adoro Hesse, Cèline, Amado, Mann, Sepulveda, Baricco, Mazzantini, Saramago, Camilleri e via così.
* Come si è avvicinato alla scrittura e quando preferisce scrivere?
R.E’ una storia bella. Avevo uno zio libraio nella zona di Portalba a Napoli. Un giorno, all’età dinove o dieci anni mi recai da solo a trovarlo. Lui mi regalò un libro di Salgari, Le tigri di Mompracem e mi disse che se lo avessi letto tutto avrei potuto tornare da lui, raccontargli cosa avevo letto e riceverne un altro. Così feci e da quel giorno collezionai tutte le avventure di Emilio Salgari e divenni un accanito lettore.
Preferisco scrivere quando sono in vacanza e per vacanza intendo non solo quella lavorativa ma soprattutto quella mentale. Mi piace, quando ho un’idea per un soggetto, dedicarmi solo a quello, fare ricerche, girare per bancarelle, librerie e biblioteche ed in mezzo alla gente e lì costruire mentalmente la storia ed i suoi personaggi. Mi è capitato di comprarmi un panino ed una coca e sedermi sulle scale della Chiesa di San Gaetano, nella antica agorà greca, per delle ore, ad immaginare i miei personaggi che agivano attraverso le antiche strade, vedendo passare Renzi e Gugol indaffarati in una accesa discussione, o zia Mariuccia l’indovina e la sua inseparabile Concetta che abitano proprio di fronte.
Quando l’idea ha preso forma, mi seggo al mio computer e comincio a scrivere, a volte per ore ed ore scordandomi anche di cenare.

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